Rendiconto AdS: non solo fatture e scontrini.

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C’è una domanda che molti si pongono : chi controlla  come spende i soldi l’amministratore di sostegno?
Una recente sentenza del Tribunale di Roma (n. 15700/2023) ci aiuta a fare chiarezza su questo tema, spesso oggetto di dubbi e – diciamolo – anche di qualche litigio familiare.

La vicenda: quando il rendiconto non convince

Una signora, erede della beneficiaria di un’amministrazione di sostegno durata oltre 15 anni, si è rivolta al Tribunale contestando la gestione dell’amministratore, un avvocato.
Secondo l’erede, mancavano all’appello quasi 900 mila euro, e numerose spese non erano supportate da documentazione.

L’erede chiedeva il risarcimento dei danni per presunta “mala gestio”.

Il Giudice Tutelare, intanto, aveva già approvato il rendiconto finale. Ma l’erede non si è fermata: ha impugnato quel provvedimento davanti al tribunale, come consente l’art. 386 c.c., richiamato per analogia dall’art. 411 c.c. in tema di amministrazione di sostegno.

La risposta del Tribunale: il rendiconto è corretto.

Il Tribunale ha rigettato integralmente le richieste dell’erede. Perché? Perché il rendiconto – pur con qualche spesa in contanti e non sempre accompagnato da fattura – era considerato completo e congruo.

La sentenza ci ricorda che l’amministratore di sostegno non è tenuto a svolgere una gestione notarile. È chiamato ad amministrare secondo diligenza, nel rispetto dell’interesse della persona beneficiaria, e con criteri di razionalità e trasparenza. Ma non gli si può chiedere di conservare lo scontrino delle caramelle, o una ricevuta per ogni minima spesa quotidiana.

Anzi, il giudice riconosce una prassi sensata: per le spese di vita ordinaria – vitto, piccoli acquisti, necessità personali – non serve allegare ogni giustificativo, se le somme risultano proporzionate al contesto e al bisogno. Un approccio che evita di trasformare l’ADS in un ragioniere armato di archivio, e consente invece una gestione flessibile, ma responsabile.

E gli eredi? Possono controllare, ma nei tempi e nei modi previsti

Un punto importante che la sentenza sottolinea è che gli eredi hanno titolo per agire. Se l’amministrato muore, i suoi successori possono chiedere conto della gestione e impugnare, come in questo caso, il rendiconto finale. Il controllo c’è, ma si esercita a valle, al termine del mandato e sul mero dato contabile e non di opportunità.

Ed è in quel momento che si valuta se le entrate e le uscite sono compatibili, se ci sono gravi omissioni, o se emergono incongruenze.

E’ tuttavia riservata al Giudice Tutelare la valutazione circa l’opportunità delle scelte: “dall’applicazione dei principi di diritto […] deriva che non può essere oggetto di valutazione la rispondenza dell’attività dell’amministratore di sostegno all’interesse personale e patrimoniale della persona beneficiaria, ma unicamente l’esattezza del conto reso”.

Conclusione: tra rigore e umanità

Questa sentenza ci ricorda che il ruolo dell’amministratore di sostegno è delicato: serve rigore contabile, ma anche capacità di gestire situazioni umane complesse. Spesso si tratta di affrontare la fragilità altrui con rispetto, e anche con scelte pratiche non sempre documentabili fino all’ultimo centesimo.

Gli eredi hanno diritto a trasparenza, ma non tutto è traducibile in uno scontrino. A volte, la legittimità di una spesa si legge nel contesto, nel bisogno della persona, e nel filo rosso di una gestione fatta – davvero – come farebbe un buon padre di famiglia.

Se ti interessa sapere come si impugna un rendiconto o quando scatta la responsabilità per mala gestio, fammelo sapere: questi sono temi su cui vale la pena tornare. Perché la legge non vive solo nei codici, ma anche nelle relazioni che lascia dietro di sé.

avv. Matteo Morgia

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