“Io mi sposo con il mio fidanzato”, ha detto sorridendo la protagonista della vicenda decisa dal Tribunale di Varese nel 2009. Una frase semplice, ma che ha spinto un giudice a interrogarsi su uno dei diritti più intimi e personali che esistano: il diritto di amare e di costruire una vita insieme a qualcuno, anche se si è legalmente fragili.
Una sentenza che ha segnato il passo e che alla vigilia dei suoi 16 anni di età è ben che emancipata e va ricordata.
Partiamo dalle basi. L’art. 404 del Codice Civile prevede l’amministrazione di sostegno (AdS), uno strumento pensato per aiutare chi, per ragioni fisiche o psichiche, si trova in difficoltà a gestire i propri affari. Ma attenzione: non stiamo parlando di incapacità totale. L’AdS serve a tutelare senza escludere, ad affiancare senza soffocare. Una sorta di “paracadute giuridico”, non una gabbia.
Nel caso deciso a Varese, una ragazza con sindrome di Down veniva affiancata dalla madre, nominata amministratrice di sostegno, per aiutarla in varie attività pratiche: contratti, banca, sanità… e tra le richieste della madre c’è anche quella di decidere al posto della figlia se può sposarsi o meno. Apriti cielo!
Il giudice si ferma. Riflette. E, con una lucidità rara, scrive nero su bianco qualcosa che suona come una carezza al diritto:
“Decretare che la beneficiaria potrebbe contrarre matrimonio solo con il consenso dell’amministratrice equivarrebbe a strappare la Costituzione.”
Secondo il giudice, l’amore non si tutela con le firme. Si accompagna, semmai. Si consiglia, si sostiene. Ma non si sostituisce. La sindrome di Down non è una “patologia” nel senso giuridico del termine, bensì una condizione genetica. E soprattutto: non toglie alla persona il diritto di scegliere, di amare, di decidere con chi condividere la propria vita.
Il diritto al matrimonio, dice il giudice, è fondamentale, riconosciuto da Costituzione, Convenzioni internazionali, e pure dal buon senso. Perciò, a meno che non si tratti di una persona interdetta (art. 85 c.c.), nessuno può impedire le nozze. Neanche l’AdS.
Certo state attenti si parla di diritto di scegliere senza artifizi, raggiri e con una coscienza. Se ti fa battere il cuore allora va bene.
Qui le cose si fanno interessanti. La legge non prevede, in via generale, che l’amministratore debba dare il consenso al matrimonio. Tuttavia, se il provvedimento del giudice tutelare prevede espressamente che l’AdS debba assistere l’amministrato nei rapporti patrimoniali, allora c’è una variabile da tenere d’occhio: la scelta del regime patrimoniale.
Se, ad esempio, gli sposi vogliono optare per la separazione dei beni, e l’amministrato non ha piena autonomia su queste scelte, allora è bene che l’AdS partecipi all’atto. In pratica? Si inserisce una frase nel verbale di matrimonio, si cita il provvedimento di nomina dell’amministratore e lo si fa firmare anche a lui.
Ma attenzione: è una precauzione operativa, non una limitazione al diritto di sposarsi.
Quella della ragazza che si è sposata non lo sappiamo e ci auguriamo bene, certo però di questi provvedimenti ne abbiamo visti un pò pochi.
Molto più spesso incontriamo annullamenti di matrimoni perchè contratti in stato di incapacità.
La sentenza di Varese ha segnato una svolta. Ma lascia aperti alcuni interrogativi: ogni giudice la pensa allo stesso modo? E cosa succede se l’amministrato non è in grado di intendere e di volere, ma non è interdetto?
Il confine è sottile. Come spesso accade nel diritto, la risposta giusta è: dipende. Dipende dal caso, dalla persona, dalla sensibilità del giudice. E, magari, anche dalla capacità di chi le sta accanto di aiutarla senza decidere per lei.
avv. Matteo Morgia