
L’amministrazione di sostegno, introdotta in Italia con la Legge n. 6 del 2004, rappresenta una delle più importanti evoluzioni del diritto a tutela delle persone fragili. L’obiettivo non è quello di espropriare un individuo dei suoi diritti, ma di affiancarlo con un “sostegno” su misura, preservando al massimo la sua capacità di agire e la sua autodeterminazione. Tuttavia, affinché questo strumento mantenga la sua natura protettiva e non si trasformi in una misura ingiustificatamente limitativa, è fondamentale che il suo protagonista, il beneficiario, sia posto al centro del procedimento. Un recente e fondamentale provvedimento della Corte di Cassazione (Cass. Civ. n. 1667/2023) ci offre l’occasione per ribadire un principio cardine: l’audizione personale del beneficiario da parte del Giudice Tutelare non è una mera formalità, ma un adempimento essenziale e irrinunciabile.
Quando si parla di limitazioni della libertà personale, il pensiero corre immediatamente a misure come l’arresto o la detenzione. Tuttavia, la libertà personale, tutelata dall’articolo 13 della Costituzione, non si esaurisce nella sola libertà fisica di movimento. Essa comprende anche la libertà di autodeterminarsi, di compiere scelte relative alla propria vita, alla propria salute e al proprio patrimonio. La capacità di agire, ovvero la capacità di compiere atti con effetti giuridici, è una manifestazione fondamentale di questa libertà.
Limitare o escludere tale capacità, anche se a fin di bene, costituisce una profonda ingerenza nella sfera dei diritti fondamentali della persona. Sebbene non si tratti di una carcerazione fisica, la limitazione della capacità di agire può risultare altrettanto, se non più, pervasiva, influenzando ogni aspetto della vita quotidiana, dalle piccole spese alla gestione dei risparmi, fino alle decisioni sanitarie. Proprio per questa sua incisività, il procedimento che porta a tale limitazione deve essere circondato dalle massime garanzie.
Il nostro ordinamento giuridico prevede garanzie rigorose e tempi strettissimi quando la libertà di una persona viene limitata in via d’urgenza, imponendo un controllo giurisdizionale immediato e l’ascolto dell’interessato.
Per una stringente analogia, quando un Giudice Tutelare nomina un amministratore di sostegno in via provvisoria e d’urgenza (art. 405 c.c.) , senza aver ancora sentito il beneficiario, l’audizione assume un carattere di massima urgenza. Tale urgenza non è una mera scelta discrezionale, ma un obbligo che discende direttamente dalla necessità di fornire una garanzia giurisdizionale effettiva a fronte di una misura che, seppur protettiva, limita la libertà fondamentale di autodeterminazione. L’audizione dovrebbe quindi avvenire nel più breve tempo possibile, rispettando in via analogica i tempi perentori previsti per la convalida del TSO, dell’arresto e del fermo. Il differimento ingiustificato di questo momento di ascolto trasforma una misura di protezione in un atto potenzialmente arbitrario, privo della sua fondamentale legittimazione.
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza (Cass. Civ. n. 1667/2023), ha affrontato un caso emblematico. La Corte d’Appello aveva ritenuto sufficiente un’audizione della beneficiaria svolta un anno e mezzo prima, in un diverso procedimento di interdizione. La Cassazione ha cassato questa decisione, stabilendo principi di assoluta chiarezza:
“l’audizione personale del beneficiario dell’amministrazione di sostegno rappresenta un adempimento essenziale della procedura in esame, non solo perché rispettoso della dignità della persona che vi sia sottoposta […], ma anche perché funzionale alla realizzazione dello scopo dell’istituto” (Cass. Civ. n. 1667/2023).
Cosa accade se il Giudice Tutelare nomina un amministratore di sostegno, anche in via provvisoria, e omette o ritarda ingiustificatamente l’audizione del beneficiario?
La violazione dell’obbligo di audizione, essendo lesiva di un adempimento essenziale e del diritto di difesa, determina la nullità del decreto di nomina.
Come far valere tale nullità?
La via maestra è il reclamo al tribunale in composizione collegiale, come previsto dalle recenti riforme del processo civile. Il reclamo deve essere proposto nel termine di legge (dieci giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento). La natura fondamentale del vizio, che attiene al diritto al contraddittorio e alla difesa, rende la censura particolarmente forte e può essere fatta valere con questo strumento.
Un’altra grave patologia procedurale si verifica quando al beneficiario viene notificato il solo decreto di nomina provvisoria, ma non il ricorso introduttivo e l’avviso della facoltà di farsi assistere da un legale.
Questa omissione viola frontalmente il diritto di difesa (art. 24 Cost.). Il beneficiario, infatti, non viene messo in condizione di conoscere le ragioni per cui è stato avviato il procedimento a suo carico e, di conseguenza, non può preparare un’adeguata difesa.
Anche in questo caso, il procedimento è viziato da nullità. Il beneficiario, non appena venga a conoscenza del vizio (ad esempio, tramite un familiare o un avvocato che accede agli atti), potrà proporre reclamo avverso il decreto. Il termine per l’impugnazione decorrerà dal momento in cui ha avuto effettiva conoscenza del vizio che gli ha impedito di difendersi tempestivamente.
L’amministrazione di sostegno è uno strumento di civiltà giuridica, pensato per proteggere senza umiliare e per sostenere senza sostituire. Ma la sua corretta applicazione dipende dal rispetto rigoroso delle garanzie procedurali. L’audizione del beneficiario non è un’opzione, ma il cuore pulsante del procedimento. Come ribadito dalla Cassazione, è l’unico modo per garantire provvedimenti “proporzionati e adeguati alle effettive, concrete ed attuali esigenze del beneficiario” (Cass. Civ. n. 1667/2023), rispettandone la dignità e valorizzandone l’autodeterminazione. Un sostegno imposto senza ascolto non è un sostegno, ma un’imposizione.