Amministrazione di sostegno: l’unica parte del processo.

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Dodici anni sono un’eternità nel diritto, ma la sentenza della Prima Sezione Civile del 5 giugno 2013, n. 14190, resta un  classico insuperato. Non perché i parenti litigassero come in un reality, quello succede anche oggi e per sempre, ma perché stabilì una regola: l’unica parte necessaria nel procedimento di amministrazione di sostegno è il beneficiario.

I parenti, dopo il decreto, non hanno più un “accesso esclusivo” agli atti: solo se dimostrano concreto e motivato interesse del beneficiario possono sperare di ottenere informazioni.

Il principio di Cassazione 14190/2013.

La Suprema Corte ha stabilito che l’amministrazione di sostegno è un procedimento sostanzialmente unilaterale, perché pondera la fragilità del beneficiario e il suo interesse primario. I parenti “evocati”? Comparse. L’unico attore necessario? Il beneficiario medesimo

Da quella sentenza in poi, chi invoca accesso agli atti senza motivare interesse diretto viene fermato sul nascere.

La dottrina e la giurisprudenza post‑2013: la conferma arriva da ogni parte

  • Secondo l’Ordine degli Avvocati di Torino, il giudice tutelare deve ascoltare il beneficiario e adottare misure personalizzate, dando priorità a ciò che agevola la persona, non alle esigenze familiari generali.

  • La dottrina specialistica (come Berti, Campese, Delle Monache) ribadisce che a volte “gravi motivi” che giustificano l’esclusione dei parenti non sono clamorosi come malattia o morte, ma anche conflitti tali da rendere impossibile una gestione serena degli interessi del beneficiario

  • Un caso del Tribunale di Genova del 2017 è emblematico: si è chiarito che il beneficiario può negare l’accesso ai dati personali anche ai parenti più prossimi, se non motivano un interesse legittimo. Un’autodifesa della privacy che rafforza il principio  di Cassazione 2013.

Perché resta attuale?

  • La Cassazione del 2023 (ord. n. 1667/2023) ha confermato un altro pilastro: l’audizione personale del beneficiario è sempre necessaria, anche se è già stato “periziato” in un altro procedimento (come interdizione). È un’estensione del principio di centralità del beneficiario nel corso del giudizio

  • E non è tutto: dottrina recente insiste sul fatto che l’amministratore di sostegno deve informare il beneficiario su ogni atto compiuto, e che eventuali abusi (come operazioni immobiliari non coerenti con l’interesse della persona) possono arrivare fino a responsabilità penale del gestore.

Conclusione.

Il rospo da ingoiare (o non ingoiare) è questo: l’amministrazione di sostegno non è un trofeo da spartire in famiglia.

La Cassazione ha messo in chiaro che la tutela vera si concentra sulla persona debole, non sull’aggiudicazione del potere.

E oggi, le corti e gli studiosi confermano: non è  accettabile un accesso a mosaico agli atti, né un diritto “di fatti famiglia” a ogni documento.

 E tu? Ti senti pronto a giustificare specificatamente qualsiasi richiesta di visione degli atti?

O ti affidi alle vecchie litigate dei pranzi domenicali, recriminando diritti alla rinfusa?

avv. Matteo Morgia

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