Amministrazione di sostegno: il beneficiario può sempre impugnare. Ma…

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“Perché non posso difendermi da solo, se è la mia vita quella che viene decisa?” – è la domanda, semplice e potente, che molti beneficiari di un’amministrazione di sostegno si trovano a porsi. La vicenda che ha portato la Cassazione (sentenza n. 5380/2020) ad affrontare il caso dei coniugi M. e C. nasce proprio da questo interrogativo, che tocca nel vivo il rapporto tra tutela e libertà personale.

I fatti: ordinaria amministrazione… straordinaria limitazione?

Il Tribunale di Civitavecchia aveva stabilito che i coniugi, già sottoposti ad amministrazione di sostegno, dovessero essere coadiuvati dall’amministratore anche per gli atti di ordinaria amministrazione. Una decisione che, di fatto, riduceva ancora di più la loro autonomia.

I coniugi hanno provato a reagire, presentando reclamo contro il decreto. Ma il Tribunale ha dichiarato inammissibile la loro iniziativa: per i giudici, infatti, i beneficiari non potevano agire senza il consenso e la rappresentanza dell’amministratore di sostegno, come imposto dal combinato disposto dell’art. 374 c.c., n. 5 e art. 411 c.c..

Davvero serve l’autorizzazione?

La questione è arrivata davanti alla Corte di Cassazione (sez. I civile, sentenza n. 5380 del 27 febbraio 2020). I ricorrenti hanno invocato gli articoli 406 e 407 del Codice civile, sostenendo che i beneficiari conservano la capacità di agire almeno per contestare i provvedimenti che li riguardano.

E in effetti:

  • l’art. 406 c.c. consente al beneficiario stesso di chiedere l’apertura della procedura di amministrazione di sostegno, anche se minore o interdetto;

  • l’art. 411 c.c. prevede che il beneficiario possa presentare ricorsi direttamente, anche dopo la nomina dell’amministratore;

  • la Costituzione (art. 24 e 111) tutela il diritto di difesa e il principio di imparzialità del giudice.

Se fosse necessario chiedere l’autorizzazione al giudice tutelare per impugnare i suoi stessi provvedimenti, si cadrebbe in un paradosso: il giudice diventerebbe “arbitro e giocatore” della stessa partita.

La risposta della Cassazione: autonomia e dignità

La Suprema Corte ha accolto il ricorso. Ha stabilito che:

  • i beneficiari di un’amministrazione di sostegno possono impugnare direttamente i provvedimenti del giudice tutelare che li riguardano, senza bisogno dell’assistenza dell’amministratore né dell’autorizzazione preventiva;

  • l’autorizzazione resta necessaria solo per i giudizi contro soggetti terzi estranei alla procedura (ad esempio, cause civili o patrimoniali);

  • questa interpretazione è coerente con la ratio dell’istituto: accompagnare la persona fragile senza cancellarne la voce.

Il rischio delle istanze “sconclusionate ”

Nella pratica, tuttavia, questo diritto spesso si esercita male. Accade frequentemente che i beneficiari presentino istanze scritte a mano, su fogli sgualciti, con richieste confuse: revocare l’amministrazione, cambiare l’amministratore, annullare il provvedimento. Tutto in poche righe, senza ordine né basi giuridiche.

Il rischio? Che il loro grido resti inascoltato non per mancanza di diritto, ma per mancanza di forma. Per questo è fondamentale rivolgersi a un avvocato esperto, capace di tradurre quelle domande in un ricorso solido e corretto.

E se non ci sono soldi per farlo? La legge offre una soluzione: il patrocinio a spese dello Stato, che permette anche a chi non ha reddito di essere assistito da un legale senza dover sostenere spese.

Una tutela che non deve diventare silenzio

Questa decisione restituisce un principio chiaro: il beneficiario non è un “ospite muto” nel processo che lo riguarda, ma una persona che mantiene una propria capacità di reazione.

La vera sfida, per giudici, avvocati e famiglie, è non lasciare che la tutela si trasformi in isolamento. Protezione sì, ma senza spegnere la voce della persona fragile. Perché dietro ogni decreto c’è sempre un volto, una storia, un bisogno di ascolto.

✍️ avv. Matteo Morgia

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