Amministrazione di sostegno. CEDU: proteggere e non isolare!

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Il 6 luglio 2023 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso una sentenza che getta nuova luce sulla delicata questione dell’amministrazione di sostegno, strumento previsto dal nostro ordinamento per proteggere e non isolare le persone parzialmente o totalmente prive di autonomia. Il caso riguarda un cittadino italiano, C.G., ultra novantenne, posto in una residenza sanitaria assistenziale (RSA) contro la sua volontà, con contatti con l’esterno limitati e filtrati dal suo amministratore di sostegno e dal giudice tutelare.

I fatti: tutela o isolamento?

La vicenda trae origine da una richiesta presentata nel 2017 dalla sorella di C.G. al giudice tutelare, per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno, motivata da una condotta “prodigale” del fratello, che viveva in modo austero e donava il proprio denaro. Nel corso degli anni, nonostante diverse perizie psicologiche avessero escluso patologie psichiatriche gravi, i poteri dell’amministratore sono stati estesi fino a comprendere ogni aspetto della vita personale e patrimoniale dell’interessato, incluso il potere di decidere in merito alla sua collocazione abitativa.

Nel 2020, su richiesta dell’amministratore, il giudice ha autorizzato il ricovero in RSA, anche con l’uso della forza pubblica. Da quel momento, C.G. ha visto drasticamente ridursi la sua libertà personale e la possibilità di mantenere contatti con l’esterno, compresi i familiari.

Il nodo dell’articolo 8 CEDU: vita privata e familiare

La Corte EDU ha esaminato il caso alla luce dell’articolo 8 della Convenzione, che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Pur riconoscendo che le misure adottate erano formalmente previste dalla legge e tese a uno scopo legittimo (la protezione della salute e del benessere di C.G.), la Corte ha ritenuto che esse non fossero proporzionate alla situazione concreta dell’interessato.

In particolare, ha osservato che:

  • La misura di amministrazione di sostegno non era fondata su una diagnosi psichiatrica invalidante;
  • L’estensione dei poteri dell’amministratore ha di fatto esautorato C.G. da ogni capacità decisionale;
  • L’isolamento sociale imposto non era giustificato da esigenze sanitarie né da un pericolo attuale;
  • Non è stato predisposto alcun piano per un possibile ritorno a casa, malgrado le reiterate richieste dell’interessato.

Le criticità del sistema italiano

La Corte ha espresso preoccupazione per un utilizzo distorto dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, trasformato, di fatto, in uno strumento di contenimento più che di supporto. Ha rilevato come, in questo caso, lo strumento abbia finito per svolgere funzioni proprie del trattamento sanitario obbligatorio (TSO), senza però le garanzie procedurali previste dalla legge per quest’ultimo.

Ha inoltre sottolineato la carenza di un controllo effettivo da parte del giudice tutelare, che ha fatto affidamento quasi esclusivamente sulle relazioni dell’amministratore, senza ascoltare direttamente l’interessato per lunghi periodi.

Il ruolo degli organismi di garanzia

Determinante nella vicenda è stato l’intervento del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che ha più volte sollecitato la magistratura a riconsiderare la situazione di C.G., evidenziando le criticità della sua permanenza forzata in RSA e l’assenza di alternative reali, come l’assistenza domiciliare. Anche il Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità (CDPH) e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) hanno formulato raccomandazioni generali che la sentenza richiama.

Conclusioni: uno stimolo a ripensare le tutele

Con questa sentenza, la Corte EDU non solo condanna l’Italia per violazione dell’articolo 8 CEDU, ma invita implicitamente a una profonda riflessione sull’uso eccessivamente invasivo dell’amministrazione di sostegno. La finalità dello strumento non dovrebbe mai essere quella di esautorare l’interessato, ma piuttosto quella di accompagnarlo nelle decisioni difficili, rispettandone volontà e preferenze.

Un messaggio chiaro anche per gli operatori del diritto: attenzione a non confondere la protezione con la sostituzione. Ogni situazione merita valutazioni individualizzate e un controllo effettivo, perché, come dimostra questo caso, anche una tutela può trasformarsi in una forma silenziosa di detenzione.

E per chi ha un familiare in una situazione simile?

Chiedersi se le misure adottate siano davvero necessarie, proporzionate e temporanee non è solo legittimo: è doveroso.

La giurisprudenza europea offre ora un appiglio in più per chi vuole far valere i diritti di una persona fragile, ma ancora capace di desiderare, scegliere, vivere.

avv. Matteo Morgia
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