Amministratore di sostegno e suicidio assistito. Serve una legge!

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Una persona affetta da malattia irreversibile, in condizioni di sofferenza intollerabile, chiede di porre fine alla propria vita, ma non può autosomministrarsi il farmaco letale.

E dunque serpeggia una domanda, in particolare fra i non addetti ai lavori: può l’amministratore di sostegno (AdS) se autorizzato dal Giudice Tutelare (GT) attuare un suicidio assistito?

La questione, tornata attuale alla luce delle decisioni della Corte Costituzionale (dalla storica sentenza n. 242/2019 alle più recenti n. 135/2024 e n. 132/2025) trova risposta negativa: serve una legge!

Cosa dice la legge in tema di suicidio assistito

  • L’art. 580 c.p. punisce chi istiga o aiuta al suicidio.

  • L’art. 579 c.p. punisce l’omicidio del consenziente, ossia chi cagiona la morte di una persona con il suo consenso.

Con la sentenza n. 242/2019 (caso Cappato/Dj Fabo), la Corte Costituzionale ha dichiarato non punibile chi agevola il suicidio se ricorrono condizioni precise:

  • volontà libera e consapevole del paziente;

  • patologia irreversibile con sofferenze intollerabili;

  • dipendenza da trattamenti vitali;

  • capacità decisionale integra;

  • verifica da parte del Servizio Sanitario Nazionale e parere del Comitato Etico.

Elemento fondamentale: l’atto finale deve essere compiuto dal paziente. Preparare il farmaco è lecito (a certe condizioni), somministrarlo no.

Sentenza n. 135/2024: il perimetro resta stretto

Con la sentenza n. 135/2024 la Consulta ha confermato i criteri stabiliti nel 2019, respingendo la richiesta di eliminare il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. La Corte ha ribadito che ampliare la non punibilità significherebbe creare un diritto generale al suicidio assistito, che allo stato attuale non è riconosciuto in assenza di una legge del Parlamento.

Il ruolo dell’Amministratore di Sostegno

La Legge n. 219/2017 sul consenso informato stabilisce che l’AdS, munito di poteri di prestazione di consenso o dissenso informato sanitario, può prestare o negare il consenso ai trattamenti, ma sempre rispettando o ricostruendo la volontà del beneficiario.

Questo potere si limita a scelte omissive (rifiutare cure, sospendere terapie) e non si estende mai alla somministrazione di farmaci letali.

Lo ha confermato anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 144/2019.

Sentenza n. 132/2025: nessuna deroga per impossibilità fisica

Nel 2025 il Tribunale di Firenze ha sollevato la questione di costituzionalità sull’art. 579 c.p., sostenendo che l’intervento di terzi non dovrebbe essere punito se il paziente non può autosomministrarsi il farmaco pe un impedimento fisico.

La Corte ha dichiarato la questione inammissibile, chiarendo che se il terzo somministra il farmaco si configura omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) e che nessuna autorizzazione giudiziaria può rendere lecita la condotta.

Da ciò è evidente che neppure l’amministratore di sostegno munito di poteri di rappresentanza semplice, assistenza necessaria o rappresentanza esclusiva potrebbe sostituirsi in questa azione al beneficiario.

La scriminante dello stato di necessità (art. 54 c.p.) può valere?

Risposta: no.
Vediamo perché.

1. I requisiti stringenti dell’art. 54 c.p.

L’art. 54 c.p. prevede che non è punibile chi commette un fatto per “salvare sé o altri da un pericolo attuale di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, se la condotta è proporzionata al pericolo”.
Tre condizioni devono coesistere:

  • pericolo attuale di un danno grave alla persona;

  • impossibilità di evitarlo con mezzi leciti;

  • proporzione tra il bene salvato e quello sacrificato.

Il pericolo deve essere imminente, non una condizione stabile. Inoltre, la condotta illecita deve essere l’unica soluzione.

2. Perché manca il requisito dell’inevitabilità

La Legge n. 219/2017 prevede strumenti leciti per affrontare la sofferenza:

  • terapia del dolore;

  • cure palliative;

  • sedazione palliativa profonda continua, in caso di sofferenze refrattarie ai trattamenti.

Queste alternative rendono la somministrazione letale non necessaria.

Non essendo pertanto la morte l’unico rimedio, l’esimente non si applica.

3. La sproporzione tra i beni in gioco

Lo stato di necessità non giustifica mai la soppressione della vita per eliminare la sofferenza: il bene vita per la legge resta prevalente e indisponibile.

La giurisprudenza ha sempre interpretato questa proporzione in senso restrittivo: togliere la vita non è un mezzo consentito per evitare un dolore, per quanto grave.

Serve una legge sul fine vita

Dal 2018 la Consulta invita il Parlamento a colmare il vuoto normativo.

Ad oggi, però, nessuna legge disciplina in modo organico il fine vita.

Restano i principi della Corte e la Legge 219/2017, che non autorizzano l’AdS a compiere atti che provochino la morte.

Per ora ciò che l’amministratore di sostegno può fare, in presenza di determinati presupposi ed a seguito di una adeguata istruttoria da parte de Giudie Tutelare, è esprimere il dissenso alla prosecuzione delle cure per conto (con) il beneficiario.

In sintesi?

Si possono sospendere i trattamenti che tengono in vita la persona riducendo cosi il tutto ad una morte per fame (sospensione della Peg), sete (sospensione dell’idratazione) o soffocamento (sospensione della ventilazione).

E’ questa la tanto decantata etica del Paese Italia?

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